Pensioni e bugie
LE BUGIE SULLE PENSIONI: DOMANDE E RISPOSTE
La manovra del ministero Monti ha come provvedimento centrale quello sulla spesa pensionistica e sull’età’ di pensionamento per donne e uomini.
I risparmi previsti dai provvedimenti sulla previdenza sono 2,7 miliardi di euro nel 2012, 6 miliardi nel 2013 e ben 20 miliardi nel 2018.
I nostri professori e i vari “soloni” che pontificano sui vari media continuano a ripeterci che quelli sulle pensioni sono provvedimenti assolutamente necessari per permetterci di avere una pensione in futuro e per farla avere alle giovani generazioni. E per allinearci con gli “standard” dell’Europa…
Ma sono affermazioni basate su conteggi volutamente errati per ingannare la popolazione. E non è certamente difficile dimostrarvelo.
E’ vero che conti della spesa previdenziale sono insostenibili? E’ vero che spendiamo troppo per le pensioni?
A differenza di diversi paesi europei noi calcoliamo la spesa al lordo delle tasse sulle pensioni.
Nel 2009 le prestazioni pensionistiche (gli assegni effettivamente erogati, al netto delle trattenute fiscali ) risultano dare un avanzo di 27,6 miliardi di euro. Per spiegare meglio ai soloni di cui sopra: i lavoratori versano più di quel che lo Stato distribuisce ai pensionati ben l’1,8% del PIL. Se si calcola il lordo come spesa pensionistica in rapporto al PIL, invece, c’è un passivo del 2,5%. È questo il calcolo preferito dai vari opinionisti “non di parte”.
E’ vero che «andiamo in pensione troppo presto»?
In Germania vanno a 65 anni, in Francia ai 62. Ci viene detto a questo punto: «sì, ma solo qui c’è la possibilità di andare in pensione con 40 anni di anzianità, quindi prima dei 65».
Falso. Per gli uomini, almeno, in Italia l’età media di pensionamento è di 61,1 anni. In Francia è 59,1 anni; in Germania 61,8 e allora dove sta’ l’allineamento coi paesi cosiddetti virtuosi?
Allora come mai la nostra spesa pensionistica è così elevata?
Per esempio è l’Inps che deve erogare il TFR del pubblico impiego e anche coprire quello dei lavoratori delle aziende private che falliscono senza poterlo pagare. Il TFR è un «prestito forzoso» dei lavoratori verso l’azienda (privata o pubblica che sia): soldi che restano lì fin quando non andiamo in pensione e ci vengono restituiti come «liquidazione». Soldi nostri anche questi, che normalmente non andrebbero conteggiati dall’Inps, ma da qualche altro ente. Comunque sia, è l’1% di PIL che gonfia in modo improprio le perdite di conti altrimenti in utile.
Ci sono anche altre voci a squilibrare i conti: i prepensionamenti, per esempio aziende in crisi che si liberano di lavoratori «maturi» e li mettono in conto allo Stato. Per non parlare di tutta l’assistenza (handicap, non autosufficienti, ecc). Senza dimenticarci della «cassa di previdenza dei dirigenti di azienda», così ben gestita dai dirigenti stessi da essere praticamente fallita e dover essere caricata sulle spalle dei dipendenti…
La pensione e il Tfr sono salario differito; cioè retribuzione per lavoro prestato corrisposta in un secondo momento. Quindi ogni taglio o risparmio in questo ambito si traduce in minore salario differito che lavoratrici e lavoratori riceveranno.
Quindi si tratta solo di una manovra classista che tende a punire sempre gli stessi… alla faccia dell’equità!