Un altro tipico crimine impunito dei colletti bianchi è quello relativo ai disastri ambientali. Nessuno può veramente stupirsi della sentenza di cassazione che ha decretato la prescrizione dei crimini del miliardario svizzero Stephan Schmidheiny, padrone della Eternit. Siamo nel paese che non ha condannato i responsabili di molte stragi, come Piazza Fontana, Italicus, Brescia e che ha lasciato impunita l’immane tragedia del Vajont.
Ormai la cosiddetta giustizia sembra solo uno stanco (e costoso) rituale: quando si processa un potente e vi è mobilitazione dell’opinione pubblica, il tribunale condanna in primo grado per calmare le acque e assolve poi in appello o, al limite, condanna nei primi due gradi per riformare in Cassazione.
E così, mentre si organizzano convegni, si fanno trasmissioni, film, romanzi su omicidi seriali e assassini di massa, delle centinaia, a volte migliaia di lavoratori e cittadini mandati a morte da criminali in giacca e cravatta si dice molto poco. Eppure qualsiasi omicida seriale o di massa non potrà mai nemmeno lontanamente uguagliare crimini come quelli di Casale Monferrato e di Taranto.
In questo caso particolare, Schmidheiny è stato addirittura nominato nel 1992 capo consulente per gli affari e l’industria presso la Segreteria Generale della Conferenza ONU nota come Conferenza di Rio, che si occupa di ambiente, quando già si conoscevano gli effetti devastanti dell’amianto. Solo nel 2009 iniziò un procedimento che portò alla sua condanna a 16 anni di reclusione per “disastro ambientale doloso permanente” e per “omissione volontaria di cautele antinfortunistiche”.
Per la prima volta i vertici aziendali venivano ritenuti responsabili dei loro crimini: evidentemente un principio inaccettabile per il padronato italiano e internazionale.