[Articolo 18] Di che cosa stiamo parlando?

In allegato la locandina da stampare e appendere
D. A chi si applica l’art.18?
R. Si applica solo alle aziende con almeno 15 dipendenti.

D. Quando un licenziamento è ritenuto valido secondo l’art.18?
R. Il licenziamento è valido solo se avviene per giusta causa o giustificato motivo. In assenza di questi presupposti, il lavoratore può fare ricorso.

D. L’art. 18 si applica anche alle lavoratrici e ai lavoratori del pubblico impiego?
R. Sia dal punto di vista della legge che della sua applicazione è ancora in dubbio se possa essere applicato anche al pubblico impiego. Alcuni magistrati l’hanno ritenuto applicabile.

Per chi volesse approfondire la complessa questione suggeriamo: http://www.aranagenzia.it/araninforma/index.php/aprile-2013/166-attualita/608-attualita1 oppure http://users.unimi.it/lavoro/Documenti/RelazioneCavallaro.pdf

D. Cosa prevede l’art. 18 dopo la cosiddetta “riforma” del 2012 del governo Monti?
R. Le nuove norme non prevedono, come in precedenza, l’automatismo tra licenziamento ritenuto illegittimo dal giudice e la reintegrazione del lavoratore ma distinguono tra tre tipi di licenziamento: discriminatorio, disciplinare ed economico.Vediamoli in dettaglio.

IL LICENZIAMENTO DISCRIMINATORIO.
È discriminatorio il licenziamento per ragioni di credo politico o fede religiosa; per essere iscritte/i a un sindacato e per aver partecipato a scioperi e/o ad altre attività sindacali; per il sesso, per l’età, per l’appartenenza etnica o per orientamento sessuale.
In caso di licenziamento discriminatorio, l’atto viene dichiarato nullo e viene applicata la sanzione massima: reintegrazione con risarcimento integrale di tutte le mensilità perdute e dei contributi non versati.
Le stesse regole si applicano in caso di licenziamento orale (cioè comunicato solo verbalmente), o quando il licenziamento è avvenuto in concomitanza col matrimonio, con la maternità o la paternità.

IL LICENZIAMENTO DISCIPLINARE.
Disciplinare è il licenziamento motivato dal comportamento del lavoratore. Può essere per “giusta causa” – cioè quando si verifica una circostanza così grave da non consentire la prosecuzione, nemmeno provvisoria, del rapporto di lavoro (alcuni esempi: falso infortunio e falsa malattia, scorretto uso dei permessi per ex legge 104/92, falsa timbratura del cartellino, rifiuto ingiustificato e reiterato di eseguire la prestazione lavorativa, minacce rivolte ai superiori, lavoro per terzi durante il periodo di malattia), o per “giustificato motivo soggettivo”, cioè in caso di notevole inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore.
Il giudice può ritenere che non ci siano gli estremi per il licenziamento per due motivi: perché il fatto non sussiste; oppure perché il fatto può essere punito con una sanzione di altro tipo (p.e provvedimento disciplinare). Però può decidere se applicare, come sanzione, la reintegrazione con risarcimento limitato nel massimo di 12 mensilità, oppure il pagamento di un’indennità tra le 12 e le 24 mensilità, senza reintegrazione e senza versamento contributivo.

IL LICENZIAMENTO ECONOMICO.
Il licenziamento economico viene motivato da “giustificato motivo oggettivo”, cioè da ragioni inerenti “l’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento di essa”. Ad esempio, quando un nuovo modo di produrre o una contrazione del mercato impongono all’azienda di ridurre il numero delle lavoratrici e dei lavoratori.
Se il giudice valuta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo oggettivo, può condannare l’azienda al pagamento di un’indennità senza reintegrazione da 12 a 24 mensilità, tenendo conto dell’anzianità del lavoratore e delle dimensioni dell’azienda stessa, oltre che del comportamento delle parti.
Se però il giudice ritiene che l’atto è “manifestamente infondato”, applica la stessa disciplina della reintegrazione dovuta per il licenziamento disciplinare.