Nel corso degli anni pare abbia causato una strage degna di una guerra. Ci riferiamo a Emilio Riva, padrone dell’Ilva, accusato di associazione a delinquere, a cui sono stati sequestrati 8,1 miliardi di euro.
Avete letto bene: di euro e non di lire.Mentre i nostri stipendi sono bloccati ci sono padroni che dispongono di fortune di questa entità. Parte di questi soldi sono finiti in paradisi fiscali (guarda caso) e rientrati grazie al famigerato scudo fiscale.
Riva beneficiò delle privatizzazioni degli anni Novanta: il centro siderurgico di Taranto e altri impianti minori gli vennero venduti a un prezzo irrisorio. In 12 anni l’investimento Ilva si è rivalutato di 10 volte, grazie anche al fatto che, secondo i giudici, Riva ha avuto mano libera nell’avvelenare la popolazione tarantina e nel violare sistematicamente le norme di sicurezza. Ultimo a proteggere Riva è stato il governo Monti, col famoso “decreto salva ILVA”.
Si tratta dell’ennesima “tragedia all’italiana”: padroni e manager con licenza di inquinare e violare le leggi, governi e politici di ogni colore complici, il “rispettabile ex prefetto” (Bruno Ferrante) nella veste del garante a fare da foglia di fico. Il ricatto è sempre stato: o il lavoro, o la vita. Fabbrica chiusa o libertà di inquinare.
La soluzione può prendere il via da quegli 8 miliardi: devono essere espropriati ai Riva insieme alla fabbrica e utilizzati per bonifica e messa a norma, se possibile. In questo caso la fabbrica deve esser nazionalizzata e messa sotto controllo dei lavoratori. Qualora non fosse possibile devono servire per pagare loro indennizzi e vitalizi.
Laddove padroni e manager hanno fallito frodando e uccidendo, laddove lo stato si è mostrato complice, bisogna dare fiducia e risorse ai lavoratori!