Le guerre in Palestina, Ucraina e Sudan sono solo i tre esempi più noti dei 59 conflitti in corso: viviamo in un mondo in cui non ci sono mai state così tante guerre come oggi dal 1946 e quasi non ce ne accorgiamo (fonte Prio, istituto per la ricerca della pace di Oslo). Tutto ciò ha fatto dire a Papa Francesco “La terza guerra mondiale a pezzi è un conflitto globale”.
Stiamo assistendo a una preoccupante corsa agli armamenti? Senza dubbio. Sono le scelte politiche e i numeri a confermarcelo. Nel 2023 i Paesi NATO hanno preso un impegno a versare entro il 2028 almeno il 2% del bilancio nazionale (Pil) nelle spese per l’esercito. Il Ministro della Difesa Crosetto ha dichiarato: “l’Italia farà di tutto per raggiungere l’obiettivo”.
La prima vittima della corsa agli armamenti è sempre la classe lavoratrice che subisce gli effetti dei tagli alla spesa sociale, come la sanità e l’istruzione pubbliche. Ne è una prova il taglio di 520 milioni al Fondo di Finanziamento Ordinario di quest’anno delle università pubbliche. Quando poi si deve combattere, le guerre vengono fatte dai lavoratori al fronte e in produzione, mentre i ricchi solitamente vanno in vacanza o a fare affari all’estero, come dimostra anche l’elevato numero di russi, ucraini e israeliani scappati temporaneamente dai loro paesi e in giro per il mondo.
L’eredità più grande lasciataci dalla seconda guerra mondiale forse è stata quella di aver cresciuto generazioni che per la prima volta nella storia hanno detto “mai più guerre”. Tutto ciò è ben rappresentato dall’articolo 11 della nostra Costituzione che recita: “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Oggi la sensazione è che questa eredità si stia perdendo. E’ fondamentale che la cultura della pace non venga abbandonata: se ne dovrebbe parlare nei luoghi che per antonomasia rappresentano la cultura, ovvero le università, e le scelte degli atenei dovrebbero contrastare le tendenze guerrafondaie. Da qui il nostro appoggio al movimento internazionale che chiede un boicottaggio accademico nei confronti del governo di Israele, come strumento pacifico di pressione politica per porre fine al massacro in Palestina e alle politiche colonialiste e di apartheid. A tal proposito, riportiamo in fondo al testo una lettera del 1968 di Italo Calvino.
Vediamo ora un po’ di dati sulla corsa agli armamenti. Nell’ultimo decennio, la spesa per le armi nei Paesi NATO della Unione Europea è cresciuta quattordici volte più del loro Pil complessivo. In Italia la spesa per i nuovi sistemi d’arma è passata da 2,5 miliardi di euro a 5,9 miliardi. Un passo verso la militarizzazione che rischia sia di destabilizzare ulteriormente l’ordine internazionale, sia di rallentare la crescita dell’economia e dell’occupazione in Europa e in Italia. Tra il 2013 e il 2023 in Europa le spese militari hanno registrato un aumento record (+46% nei Paesi NATO-UE; +26% in Italia). Un balzo che contrasta con la stagnazione del Pil (+12% nei Paesi NATO-UE; +9% in Italia) e dell’occupazione in questi Paesi (+9% nei Paesi NATO-UE; +4% in Italia). Nello stesso periodo, in Italia la spesa per la sanità è aumentata solo dell’11%, la spesa per l’istruzione del 3% e la spesa per la protezione ambientale del 6%. Ciò dimostra che la spesa sociale si è ridotta a favore della spesa militare (fonte Greenpeace).
Il dominio incontrastato nel 2023 è degli Stati Uniti con un investimento di 860 miliardi di euro (+2,3% rispetto all’anno precedente) che rappresentano il 37% della spesa globale (tre volte superiore a quella della Cina, seconda della classifica) e il 68% della spesa dei 32 Paesi membri della NATO (fonte Sipri, istituto internazionale di Stoccolma per la ricerca della pace). Nel 2023 la NATO con 1,34 trilioni di dollari (cioè oltre 1.200 miliardi di euro) investiti in spesa militare rappresenta il 55% della spesa mondiale con un incremento di 126 miliardi rispetto all’anno precedente. Oltra agli Stati Uniti (che con le loro 750 basi militari in 80 Paesi sono il più grande consumatore istituzionale di petrolio nel mondo), i maggiori incrementi sono stati registrati da Polonia (+16 miliardi), Regno Unito (+10,9 miliardi) e Germania (+10,7 miliardi) (fonte The Guardian).
Se allarghiamo il nostro sguardo all’Asia, possiamo vedere altri due esempi emblematici. La Costituzione del Giappone, imposta dagli USA al termine del secondo conflitto mondiale, ha sancito il divieto di costituire un esercito. Nonostante ciò il Giappone ha una forza di difesa (che formalmente è un’estensione della polizia) impiegabile in missioni ONU. L’obiettivo del Giappone è investire entro il 2027 il 2% del Pil in spese militari: con 315 miliardi di dollari diverrebbero la terza spesa mondiale dopo Stati Uniti e Cina. Oltre a ciò Giappone e NATO l’anno scorso hanno stretto degli accordi unitamente a Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda in funzione anti cinese. Un altro esempio significativo è Taiwan. Nel 2023 la leva obbligatoria è passata da 4 mesi a 12 e la spesa militare è cresciuta del 11% raggiungendo 16,6 mld di dollari, equivalenti al 2,2% del Pil, con l’obiettivo di raggiungere il 3% del Pil entro il 2026.
La cultura pervasa da nazionalismi e alleanze che sempre di più si sta diffondendo nel mondo, con Paesi sempre più armati fino ai denti, ricorda molto il clima precedente la prima guerra mondiale. E’ bene esserne consapevoli per poter contrastare la politiche guerrafondaie dei Governi. Si tenga presente infatti che sono in corso in Unione Europea delle valutazioni per consentire il dual use (cioè l’uso della ricerca scientifica per scopi bellici) nel prossimo programma settennale di ricerca europea Horizon. Anche le università possono fare la loro parte per contrastare la guerra.
CHE LA GUERRA SIA BANDITA PER SEMPRE DALLA STORIA! NO ALLE GUERRE!
Comitato degli iscritti FLC CGIL d’ateneo
In allegato la locandina in formato PDF